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Ma che scherzo ci hai fatto, Marco…

Ciao Tamburo, ma che cazzo fai? Ma non ti ricordi che mercoledì hai il saggio dei ragazzi del S.J.U.? Sei sempre il solito casinista e all’ultimo momento dobbiamo fare i salti mortali per far funzionare tutto!

E poi te ne vai così? Senza una battuta, neanche una parola? Mi sembra che ti stai allargando un po’ troppo…

Ricordo ogni volta che venivi al Siena Jazz, se non ero incasinato a lavorare, non potevo fare a meno di venirti incontro e abbracciarti, così come un fratello maggiore, uno che ne sa veramente più di te e che ha molto, ma molto da insegnarti.

Lo sai, il jazz non è il mio genere preferito… Sì, lo apprezzo e quando suoni tu mi rendo conto di quante sfumature sai dare alle tue interpretazioni, ma tu lo sai…. A me piace il metallo, quello duro!

Ma quante volte, cazzeggiando, ti ho fatto ascoltare i capolavori dei Behemoth o dei Divine Heresy, spiegandoti la differenza fra Death Metal, Brutal Death, Symphonic Metal… ma tu niente! Tu stavi lì con i tuoi accordini jazz di sta minchia: la tredicesima diminuita, la nona bemolle e la fava del Neri!

Però eri sempre allegro, mai una volta mi hai rotto le palle se non ti funzionava la stampante, o non ti andava internet o non funzionava un ampli… perché capivi che a volte ero veramente incasinato e non era facile scattare subito per l’assistenza! Certo, me lo chiedevi: ma mai con fastidio o arroganza, e pazientemente aspettavi l’intervento.

Ma poi si vedeva che eri uno vero: mai una volta che hai fatto problemi per l’organizzazione, e quando ne avevi davvero, eri disponibile. Con te si riusciva sempre a sistemare tutto perché avevi un cuore grande, eri generoso. Insieme a te ci stavo bene, mi sentivo a mio agio….

E allora vorrei dirti adesso quello che non ti ho mai detto, non per drammatizzare, ma perché non ce ne è stata occasione. Sei stato per me un vero esempio da seguire: affabile con tutti ma rigoroso nell’insegnamento, gentile ma comunque autorevole. Ma soprattutto eri una persona con tanta positività da dare.

“Gag” mi chiamavi: ogni singola volta che venivi al Siena Jazz mi apostrofavi così, in una via di mezzo fra lo sberleffo e l’affettuoso.

Io il tuo affetto me lo ricorderò sempre e sono convinto che dove sei ora porterai tanta allegria.

A proposito! Quando vedi mia mamma dille che io tutto sommato sto bene e vado avanti, e ogni giorno riscopro la bellezza della vita grazie agli incontri che faccio ogni giorno, e un giorno di una ventina di anni fa ho incontrato te, Marco e poi, da quando sono entrato al Siena Jazz, ho imparato a conoscerti meglio e credo di essere stato davvero fortunato ad avere a che fare con te!

Ti mando un carissimo abbraccio, caro Marco! Che la terra ti sia lieve.